Huayna Potosi (Bolivia)
Huayna Potosi – altitudine 6088m
La sveglia suono alle 11:45Pm, ho dormito poche ore ma mi sento riposato. Il rifugio é stato costruito a 5000 metri e l’ossigeno qui é cosa rara. Mi vesto lentamente e con movimenti meccanici dettati dal freddo. In mezzo ad una nuvoletta di fiato chiedo:
- Quanto falta para tomar desayuno?
- 10 minutos amigo….
Pronti e sazi all’una della mattino, armati di scarponi ramponi e picozza, cominciamo a camminare sul ghiaccio nel buio piú completo. Si cammina piano, non tanto per la stanchezza quanto per l’ossigeno. Le prime 2 ore passano in fretta, il freddo, quello vero, stá ancora dormendo. Sono le 3 ed in lontananza s’intravedono le luci de “El Alto”, la parte collinosa di La Paz. Lorenzo, che lavora come guida montana da oltre 8 anni, si ferma e guarda in alto, “ora empeza” mi dice, libera la grossa corda allacciata al cinturone e comincia a scalare la ripida parete di ghiaccio. Lo seguo a ruota invidiando le sue capacitá tecniche di scalata e mangiando il ghiaccio che cade dai sui ramponi, appena 5 metri piu’ in alto. Il fiato si fá corto e il cuore sembra esplodere dentro la giacca. Il training del giorno prima é servito e terminiamo in 30 minuti. Pausa, mangio una barretta di cioccolato, mastico alcune foglie di coca e via, di nuovo al cammino prima che il corpo si raffreddi.
Passiamo ponti naturali di ghiaccio e grotte, il tutto accompagnato dal sordo rumore dei ramponi che infrangono il sottile strato di ghiaccio. Passano le ore e con non poche difficolta’ arriviamo a 250 metri dalla cima. Sono esausto, ma quell’ultima parete che divide cielo e terra diventa una sfida personale contro me, freddo, vento, stanchezza, dolore muscolare, aria rarefatta. Vamos! mi incita Lorenzo e cominciamo cosi’ l’ultima fatica. Questa volta é veramente dura. Dopo 15 minuti non sento piu’ le gambe dalle ginocchia in giú, altri 15 sono necessari per trasformarmi le mani in due blocchi di cemento. Ogni volta che mi fermo continuare mi sembra impossibile. Mi mancano le energie, peró ora sono a metá e non si puó scendere.
Il freddo mi congela tutto, anche la forza di pensare, cominciano a girarmi in testa cantilene noiose, ritornelli di canzoni mai piaciute, che si reiniziano ad ogni piconata. Non ce la faccio.
É passata forse 1 ora e mancano buoni 100 metri. 2 piconate e 30 secondi di riposo, 2 piconate e 40 secondi di riposo, 2 piconate e 50 secondi di riposo… Involontariamente incomincio a battere i denti e le cantilene si fanno piú forti, piú veloci. Pur non sentendo I piedi, questi, mi fanno un male mai provato prima. Faccio altri 10 mt, la testa si isola dal corpo, non sento nulla ed il mio microcosmo diventa muco nasale e battito di denti.
Non só quanto tempo sia passato da qui alla cima, ma quando punto l’ultima piconata, la parete, é ormai diventata un piano. Mi giro sulla schiena ad ammirare l’orizzonte mentre il sole lava il cielo di rosso e giallo. Mi viene da piangere e lo faccio. É un misto di emozioni e stanchezza. Lorenzo, che ha scalato questa cima oltre 200 volte, si avvicina e mi tende la mano sorridendo: “congratulations”. L’istinto ora é di scattare un paio di foto memorabili, ma la logistica é la stessa che usare il telecomando della televisione con mani e dita ingessate. La temperature stimata é di -20 gradi, provo a togliermi il cappuccino, ma é tutto congelato.
Altri 5 minuti qui in cima, a 6088 metri, ad ammirare il mondo cosí come lo vede Dio e poi si scende, rigorosamente a rappel.
La luce ora si fa cosí forte, che devo mettere occhiali e protezione solare.
Scendendo non riconosco nemmeno un metro del cammino, lo scuro ranocchio dell’andata ora é principe azzurro.
